Tutti i giorni andando a trovare la mia amica in ospedale, vedevo Marta, seduta davanti alla finestra della sua stanza. Con lo sguardo fisso, stava lì per ore, senza parlare. Guardava fuori, ma non sembrava badare a ciò che vedeva, era come spenta o paralizzata dalla malinconia. Dopo alcune settimane seppi da una sua compagna di stanza che soffriva del male oscuro. Me lo disse sottovoce, con un timore riverenziale, come per prenderne distanza.
E’ la depressione, chiamata così ancora da molti. Nel nostro paese, questa patologia colpisce l’11% degli italiani e maggiormente le donne. Questo male di vivere compare all’improvviso, o almeno sembra, annientando desideri e persino la gioia nelle attività che prima davano soddisfazione. Una costante sensazione di vuoto e prostrazione ingiusti, rendono chi ne soffre incapace di reagire e risollevarsi. A diagnosticare e curare di solito è il medico di famiglia che in collaborazione con lo specialista esercita un fondamentale ruolo nell’ascolto e nella prescrizione degli antidepressivi. Questi farmaci che per molti pazienti sono inizialmente utili a lenire i sintomi più gravi, alla lunga si rivelano negativi ed inefficaci, creando effetti collaterali come la dipendenza o l’attenuazione di emozioni che si riducono, a volte si bloccano del tutto. Fra gli esperti più preoccupati di questo fenomeno, è il professor Irving Kirsch, studioso dell’effetto placebo a Harvard. Da anni esegue trial comparativi per comprendere quali siano i benefici tangibili degli antidepressivi. Nonostante i suoi risultati e altri studi dichiarino la crescente inefficacia di questi farmaci su molti pazienti depressi, l’assunzione sembra in costante aumento anche per chi non ne ha un bisogno reale. Forse ci vorrebbero dei controlli più severi e prescrizioni differenziate a seconda degli stati depressivi dei pazienti. Per i casi meno gravi si sono rivelate molto efficaci le terapie cognitivo comportamentali e il counseling.
Anche altri pazienti che hanno individuato nel dolore dell’anima la principale causa della loro depressione, hanno scelto di curarsi senza farmaci, incrementando la propria introspezione con terapie meditative. Queste pratiche comprendono l’uso giornaliero della preghiera o di riflessioni spirituali, a prescindere dal proprio credo. I controlli clinici effettuati sui malati che hanno scelto questo approccio, hanno evidenziato un miglioramento psicofisico graduale ma costante. Anche Marta dopo mesi di ospedale ha scelto la terapia spirituale. Mi ha raccontato come il suo risveglio dal torpore emotivo si è trasformato in progressivo vigore ed empatia. Il suo stato negativo è andato sparendo, sostituito da una rinnovata gioia di vivere e maggiore concentrazione. Mary Baker Eddy, fondatrice della Scienza Cristiana, avendo attraversato lei stessa molti momenti bui e difficili nella sua vita, sapeva che rivolgendosi all’Amore divino del Padre avrebbe trovato conforto e guarigione. Nel suo libro Scienza e Salute con Chiave delle Scritture scrive: “Benché per il senso mortale la via sia oscura, la Vita divina e l’Amore divino la illuminano, distruggono l’inquietudine del pensiero mortale, la paura della morte e la presunta realtà dell’errore.”
Per questo molti pazienti, visibilmente sollevati dopo ogni sessione di meditazione spirituale, hanno spiegato agli esperti come a loro fosse sembrato più logico trattare un malessere dell’anima con un rimedio spirituale anziché materiale e benché inizialmente scettici, hanno riacquistato fiducia, vedendo se stessi uscire da un tunnel buio nel quale pensavano di essere intrappolati per sempre.
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